E’ sempre tutto parte della propaganda, come teorizza Chomsky

di Gilbert Mercier

Vivamo in tempi orwelliani, così come predetto nel noto romanzo 1984. Niente è come sembra. Persi in una fitta nebbia di propaganda, spacciata per informazione, siamo portati a districarci fra narrazioni conflittuali di quello che accade. La realtà sembra surreale e le parole hanno perso il loro significato autentico, é la denuncia di Gilbert Mercier su Counterpunch.


Nell’uso orwelliano che, oramai, si fa del lessico, si assistono a paradossi inimmaginabili: un presidente a favore del capitalismo e neo-colonialista, come Hollande, è chiamato socialista; interventi militari condotti dagli Stati Uniti e dai suoi alleati, sotto l’egida delle Nazioni Unite, vengono definiti missioni umanitarie e di peacekeeping. Cambiamenti arbitrari di regime, come quelli condotti in Iraq e Libia, e in corso in Ucraina, Siria, Venezuela e persino Cuba, prendono il nome di promozione della democrazia o rafforzamento delle istanze della società civile.



La simbiosi fra politica e marketing è sintomatica dei nostri tempi. In tempi orwelliani, anche la politica diviene marketing. E’ sempre tutto parte della propaganda, come teorizza Chomsky in Sistemi di Potere. Il marketing è una forma di propaganda, in cui le masse vengono irreggimentate e guidate a compiere scelte tutt’altro che razionali, alla faccia del mercato. Nessuno, in realtà, crede nel mercato, le aziende spendono cifre esorbitanti per spingere i consumatori a compiere scelte irrazionali. Lo stesso vale per la politica: i leader politici ricorrono alla persuasione, slogan, retorica, pubbliche relazioni ecc …questo perché nemmeno gli elettori compiono scelte razionali. Questa commistione fra marketing e politica convince anche Mercier: i politici più che focalizzarsi sulla politica pubblica — il welfare di milioni di persone è in gioco — sono commercializzati e venduti al pubblico come fossero grandi marchi. Molti cittadini sono divenuti consumatori di prodotti politici, sviluppano una relazione di fiducia o ostilità col marchio.

Negli Stati Uniti, ad esempio, Bush, Clinton e Kennedy sono noti marchi politici. In Francia il brand Le Pen sta andando alla grande. Al contrario, il brand Putin in questo periodo non sembra andare granché di moda, soprattutto in occidente: Hillary Clinton ha paragonato le sue azioni a quelle di Adolf Hitler prima della Seconda Guerra Mondiale. Confronto inappropriato ma per il consumatore medio di Clinton, l’equazione Putin=Hitler può essere soddisfacente. L’Occidente ha sempre bisogno di un nemico, il popolare leader del vecchio “impero del male” è senz’altro il candidato migliore: per i principali media occidentali l’Agenda segreta di Putin prevederebbe la restaurazione dell’Unione Sovietica. In tempi orwelliani, la NATO dichiara di voler promuovere la stabilità nell’Europa dell’est: in che altro modo, se non spingendo i paesi europei ad aumentare la loro spesa per la difesa? Il 15 aprile, parlando all’incontro dei ministri della difesa dell’Unione Europea, Maciej Popowski, segretario generale del Servizio Europeo per l’Azione Esterna, ha dichiarato: “Abbiamo vissuto 70 anni di pace, ma vediamo che la politica di potenza è tornata… è un campanello d’allarme e ora dobbiamo prendere sul serio la difesa”, riporta EU-observer.

Il Segretario Generale della NATO, Rasmussen, ha detto alla stampa: “Abbiamo bisogno di addestrarci ed esercitarci di più insieme…cosicché saremo pronti per qualsiasi eventualità futura”. Questa versione rivisitata della Guerra Fredda offre un’opportunità unica di giustificare una nuova impennata delle spese militari: gioiscono i cinque maggiori produttori di armi al mondo, ovvero Stati Uniti, Russia, Germania, Francia e Cina. Propaganda e crisi ucraina.

E ora che la componente russa si arma e prende il controllo di numerosi edifici a Donetsk, la crisi ucraina entra nella sua terza fase. La prima fase è stata la pseudo-rivoluzione sponsorizzata dall’occidente, la seconda fase ha visto l’annessione russa della Crimea. Ora la terza fase vede i separatisti russi prendere slancio: intanto i beneficiati del colpo di stato Euromaidan a Kiev continuano a reprimere i manifestanti in Ucraina Orientale, definendoli terroristi, un’ironia surreale per un governo di fatto illegittimo. Potrebbe persino somigliare a una guerra civile, come sostiene Putin, ma non sta granché bene dire che una grossa parte della popolazione, soprattutto filorussa, non ha accettato il modo in cui Yanukovic se n’è andato.

Ed ecco che si torna da dove eravamo partiti: George Orwell non avrebbe alcuna difficoltà a riconoscere la propaganda messa in atto durante il rovesciamento del governo ucraino, mediante una “protesta pacifica”: il nuovo governo, brandendo slogan quali “lotta per la democrazia”, “libertà di parola”, ha attuato una repressione molto severa dell’opposizione, mediante il controllo sui mezzi i comunicazione e minacce di rappresaglie contro giornalisti e analisti politici, quali Vladimir Kornilov. Gli esiti di una protesta pacifica

Traduzione per L’Antidiplomatico
Fonte: Counterpunch

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